mercoledì 10 luglio 2013

SENZA SOLDI E SENZA PENSIONE, IL DESTINO DEGLI ITALIANI

"Abbiamo avuto un ultimo decennio di bastonate, dal 9% al 10% hanno perso tutti, un po' meno i "quadri", molto pesantemente gli impiegati. Il primo problema è quindi il cuneo fiscale, poi vanno aggiunti stipendi di risultato. Fornero? Ha fallito"

Riporto l'intervista rilasciata a Yahoo Finance (a cura di Maria Rosaria Iovinella)

In crisi nera, e non solo per il debito pubblico e l'eterno mancato rilancio: ad atterrire gli italiani è la certezza di un futuro in cui boccheggeranno per motivi reddituali e dovranno inventarsi la serenità dopo il ritiro dal mercato del lavoro, ovviamente posticipato rispetto ai loro sogni. Non è difficile capire perché, se in un decennio la svalutazione degli stipendi è aumentata progressivamente e il sistema previdenziale ha mostrato tutti i suoi limiti, esponendo all'incertezza lavoratori pubblici e privati, atipici e precari, liberi professionisti. Walter Passerini, esperto del tema lavoro e previdenza, lo spiega in due saggi, entrambi pubblicati per Chiarelettere:Senza Soldi-Ma Paperoni e furbetti se la godono (pp.200, 13 euro), con Mario Vavassori, e Senza Pensioni-Tutto quello che dovete sapere sul vostro futuro e che nessuno osa raccontarvi (pp.192, 13.90) con Ignazio Marino. Yahoo! Finanza lo ha intervistato: Passerini, giornalista per La Stampa dal 2010, ha lavorato per quasi un ventennio al Corriere della Sera, dove ha ideato e diretto Corriere Lavoro, ed è stato caporedattore del Sole 24 Ore, responsabile di Job 24. 

Passerini, dal patto di concertazione del '93 sono passati 20 anni. In quali passaggi si è persa l'occasione di ripensare o migliorare il sistema retributivo italiano?
"Dal '93 al 2003 c'è stato uno scambio, sindacale e istituzionale, all'insegna della concertazione e della moderazione salariale. Un decennio in cui si era entrati nel percorso verso la moneta unica e si usciva da periodi convulsi, anche politicamente. La moderazione doveva accompagnare un percorso di riassestamento dell'economia, del lavoro, dell'occupazione, della spesa politica. Così non è stato, va riconosciuto che in quel decennio venne approvata la prima e la seconda grande riforma del lavoro, la riforma Treu e quella Biagi. Si scopre tuttavia che il problema salariale non può essere risolto solo con la concertazione ma con la contrattazione decentrata: averlo scoperto però non ha significato vedere realizzata questa contrattazione di secondo livello".

Successivamente?
"Nel secondo decennio, i salari hanno perso peso nei confronti dell'inflazione che solo adesso, per ragioni recessive, si sta addomesticando. Aspettando che le cose si risolvessero abbiamo avuto un ultimo decennio di bastonate, dal 9% al 10% hanno perso tutti, un po' meno i "quadri", molto pesantemente gli impiegati, che hanno perso di fronte all'inflazione reale, che non è quella del Nic, ma è soprattutto l'indice dei beni ad alta frequenza di acquisto. Lo scambio politico del '93 non ha portato né a nuove forme di contrattazione, né alla salvaguardia del potere di acquisto".

Se i salari crescono solo nominalmente, e vengono sempre più abbattuti dal drenaggio fiscale (inflazione+imposte) perché formalmente la base imponibile cresce, allora il nodo non è un fisco più leggero? Quali misure aiuterebbero la causa?
"L'inflazione ha vinto, nel frattempo si sono gonfiate apparentemente le retribuzioni perché il carico contributivo e fiscale ha allargato pesantemente la forbice tra stipendi lordi e netti. Abbiamo le retribuzioni nette più basse di Europa e il costo del lavoro più alto. Va dato ossigeno sia alle persone che alle famiglie abbassando il peso dei contributi e delle tasse. Il primo problema è quindi il cuneo fiscale. Si è poi registrato l'abbassamento del valore del lavoro, lo stipendio è lo specchio di questo declino. Ci sono tante cose che hanno a che fare con la contrattazione che vanno cambiate: introdurre finalmente i salari e gli stipendi di risultato, ovvero sulla base dei meriti individuali, defiscalizzando queste voci. Il welfare aziendale (buoni spesa, aiuti per i figli, per i trasporti, previdenza integrativa) andrebbe più sviluppato per dare valore agli stipendi in quanto tale. Infine abolire i grandi differenziali, evitare che le donne paghino il 20/27% di differenziale rispetto agli uomini; vanno ridotti i differenziali tra i lavoratori di bassa qualifica e i super manager che sfiorano i 300-400 punti, il che non è eticamente e politicamente sostenibile."

Nel suo libro scrive che il basso livello delle retribuzioni nel pubblico è frutto del clientelismo: meno soldi ma più sicurezza del posto di lavoro.
"C'è da chiedersi come mai di fronte a mancanza di lavoro e bassi stipendi non ci siano conflitti sociali. Ci sono gli ammortizzatori, come la famiglia, è vero, ma siamo di fronte a un aumento del clientelismo, ma non stiamo solo tornando indietro nel modello relazionale, amicale, familista, amorale, c'è qualcosa di più. I posti di lavoro e gli stipendi vengono spessi gestiti dalla criminalità organizzata e facciamo finta di non vedere: se diventa il datore di lavoro di molti disperati, dal punto di vista statale siamo alla disgregazione, dal punto di vista della gente nascerà una generazione di poveri, ovvero di persone che non avranno pensione".

Ripensare i salari, nel settore pubblico, spezzerebbe questo fenomeno, incentivando magari un'affluenza verso altri settori meno "clientelari"?
"Va scardinato il patto scellerato della pubblica amministrazione dove le persone, in passato, sono state assunte secondo uno scambio che avveniva tra retribuzione bassa e relativa sicurezza del posto di lavoro, meccanismo che si sta scardinando da solo, visto che i contratti sono bloccati da 4 anni. Dall'altro lato bisognerebbe pensare a stipendi e produttività: mentre l'industria è abituata a ragionare in termini di valore aggiunto, nella p.a. questa realtà non esiste, l'apporto individuale al lavoro è bassissimo e la produttività è ancora più bassa. Bisognerebbe introdurre misurazioni di produttività nel pubblico impiego senza però far pagare ai lavoratori il prezzo di patto scellerati che non sono i lavoratori ad avere stretto, ma le alte dirigenze, parti degli enti locali, parti dello Stato, parti dei ministeri". 

Può illustrare al pubblico le proposte di riforma che avanzate nel libro in relazione alla busta paga? Perché snellire le voci contribuirebbe a ripensare complessivamente la qualità del discorso retributivo?
"Siccome la busta paga è fatta di quasi 30 voci incomprensibili, noi proponiamo 3 voci: il salario contrattuale (minimi che valgono per tutti, corrisposti sulla base di contratti di categoria, che pure andrebbero sfoltiti e ridotti e ricondotti a pochi, nazionali), il salario di merito - dove la prestazione possa essere riconosciuta- e il salario straordinario, che copre eventi rari ma non impossibili all'interno di un'azienda (lavorare 10 ore un giorno, ad esempio). Tre voci per capire meglio come funziona una busta paga, cosa impossibile allo stato attuale"

ll tema della busta paga si riconnette a quello delle pensioni.
"Possiamo dire, dopo due anni, che ormai non solo giovani e donne non avranno una dignitosa pensione, ma anche i lavoratori, i redditi più bassi perché il valore è commisurato alla quantità dei contributi. Questo passaggio andrebbe accompagnato con misure di salvaguardia dei redditi più bassi, soprattutto per quelli che lavorano sulle aliquote del 23 e del 27% per cento, che andrebbero abbassate di un punto per dareossigeno ai redditi. Poi una previdenza complementare, non integrativa individuale, ma complementare di categoria proprio per dare un po' più forza ai contributi che si versano. Sennò, a stipendi bassi, corrisponderanno pensioni ancora più basse".

Il suo libro è anteriore alla riforma Fornero: che giudizio dà sulla stessa?
"Fornero ha fatto due riforme: quella sulle pensioni l'ho trovata frettolosa e ha creato conseguenze molto pesanti sul piano sociale, vedi esodati, e non ha affrontato la pensione dei giovani e delle donne. Un'operazione per fare cassa, usando i risparmi previdenziali per coprire debiti su altri fronti. Pur promettendola non si è mai preoccupata della previdenza complementare. Sul lavoro, ha fallito per una ragione di contesto: la riforma è fatta per una fase di espansione dell'economia ma l'economia stava crollando. Esistono 45 contratti per assumere che non sono stati sfoltiti malgrado le promesse, non si è adottato un contratto unico a tutele crescenti, non ha rafforzato i centri per l'impiego, gli uffici di collegamento pubblico e le agenzie private". 

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