martedì 6 agosto 2013

Baldassarre (M5S) : “Non avete a cuore questo Paese, ma solo i vostri interessi.”


Signor Presidente, ammetto che quando ho letto questo decreto la prima cosa che ho pensato è stata: rilancio dell’occupazione giovanile ? Coesione sociale ? Forse hanno sbagliato il titolo. E, poi, sono andato avanti e mi sono soffermato su due parole: «social» e «card». Ancora con la social card ? Promuovere la coesione sociale attraverso la social card: promuovere la coesione sociale attraverso uno strumento che, praticamente, ti identifica come povero. È questo quello di cui abbiamo bisogno, soprattutto in un momento in cui il divario tra i cosiddetti ricchi e i cosiddetti poveri è sempre più ampio ?
Ebbene, noi vogliamo eliminare del tutto queste forme inutili di assistenzialismo. Noi vogliamo istituire un diritto, secondo il quale nessun individuo deve rimanere, deve vivere sotto il livello minimo di povertà. Questo attraverso l’istituzione di un reddito minimo garantito: non una forma di assistenzialismo, appunto – come ho detto prima –, un aiuto che, in questo caso, si deve chiamare elemosina, ma un diritto. Questo sì che creerebbe veramente coesione sociale, questo sì che garantirebbe la circolazione di denaro, l’aumento dei consumi, con conseguente aumento di lavoro. Certo, questa non può essere l’unica soluzione a tutti i mali, ma sicuramente è la soluzione ideale per far sì che la parola povertà sia solo un brutto ricordo, un errore del passato. Questa social card per noi è l’ennesima finta toppa che il Governo mette su un problema che non vuole veramente risolvere.

Ma cambiamo pagina; andando avanti e scorrendo vari articoli sono arrivato dove si parla delle start up innovative; qui, le speranze di vedere qualcosa di positivo sono leggermente aumentate per poi vederle subito crollare. Siamo ormai abituati a questo modo di operare tutto all’italiana: si fa qualcosa che potrebbe essere positivo per le imprese, si snatura e si rende difficoltoso nell’applicazione. Dopo qualche tempo si fa un’analisi dove si evince che lo strumento normativo non ha apportato gli effetti desiderati e si abbandona la questione con la frase: ci abbiamo provato, è andata male. Non vorrei che fosse quello che sta accadendo alle start up innovative e agli incubatori. Lo scorso anno, con il decreto-legge n. 179, si è fatto un primo passo per normare quello che esisteva ormai da decenni e che la politica si era scordata o nemmeno si era resa conto che esistesse. Con l’articolo 25 e l’articolo 32 si sono così affrontate le misure per la nascita e lo sviluppo di imprese start up innovative. Un primo passo, certo, che può apparire, ad una prima analisi, come positivo, ma che andando ad analizzarlo nel dettaglio, confrontandosi con tutte quelle imprese che ne dovrebbero usufruire, appare inadeguato, ingessante e poco dinamico e flessibile. Le idee innovative hanno bisogno per loro natura di velocità di azione, flessibilità nello sviluppo, dinamismo nel disbrigo delle pratiche amministrative. Se la normativa non si adegua a questa necessità i progetti di start up innovative sono destinati a nascere e morire incastrati tra la burocrazia e i tempi infiniti per l’accesso ai fondi ed agevolazioni, vincoli inadeguati, termini e adeguamenti normativi che non hanno senso di esistere.

Ci siamo mai chiesti se è il caso di aprire un vero canale di dialogo con tutti gli attori in campo ? Chi meglio delle imprese che sono tirate in causa direttamente possono dire quali sono le cose che funzionano e quelle che purtroppo non funzionano ? Allora dobbiamo cominciare a fare un bagno di umiltà, uscire da queste stanze, andare ad incontrare i protagonisti di tutti quei progetti innovatori, che stanno funzionando, e capire quali sono stati gli ingredienti che hanno portato a tale risultato.
  Con lo stesso impegno si dovrebbero incontrare tutte quelle realtà che hanno fallito nel nostro Paese, che se ne sono andate via dall’Italia, che sono morte sul nascere e chiedere le motivazioni e capire cosa ha portato a questo risultato. Solo così la normativa in merito alle start up innovative può svilupparsi ed essere realmente di aiuto allo sviluppo delle idee innovative. Dobbiamo partire da qui. Dobbiamo applicare l’innovazione alle nostre imprese storiche italiane, le imprese artigiane, il manifatturiero e nel contempo aprire le porte a tutte quelle idee che un giorno segneranno la vita nei vari campi dell’innovazione. Dobbiamo recuperare terreno e prendere ad esempio le migliori realtà a livello internazionale; se non facciamo questo non ci sarà nessuna via di uscita per quello che riguarda il sistema lavorativo italiano. Un giorno, come detto prima, non vogliamo sentir dire: non ha funzionato, ci abbiamo provato, ma dobbiamo abbandonare. Invece no, non ci abbiamo nemmeno provato perché con il decreto-legge n. 76 del 2013, il decreto lavoro, il Governo poteva davvero correggere gli aspetti che non hanno funzionato, sbloccare le procedure ancora ferme dal 2012 e invece no, anche questa volta, nessun gesto di coraggio. Mai una volta che riuscite in un gesto di innovazione vero con una visione al futuro, alle nuove tecnologie, alla valorizzazione delle imprese che innovano veramente nel nostro Paese.

Non ce la farete mai e questa è la dura realtà. Non ce la farete mai perché non avete a cuore questo Paese, ma solo i vostri interessi. Chiudo con una frase di un famoso filosofo rivoluzionario russo Michail Bakunin che disse: è ricercando l’impossibile che l’uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva loro come possibile non hanno mai avanzato di un solo passo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).


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