mercoledì 28 agosto 2013

Decadenza Berlusconi, Monti apre alla Grazia: " Si se lascia la politica"

Scelta civica apre all'aggiramento della legge anticorruzione che porta il suo nome per salvare il Cavaliere. Violante insiste per il ricorso alla Consulta: "Occorre decidere dopo aver ascoltato le difese". E la strategia Pdl del prender tempo frutta i primi risultati: la seduta della Giunta per le elezioni in programma il 9 settembre non sarà decisiva


“Sì alla grazia, se Berlusconi si ritira dalla vita politica”. Parola di Mario Monti, ora solo senatore, ma fino a ieri firmatario, da premier, della legge anticorruzione ‘colpevole’ di voler far decadere ilCavaliere. Oggi, però, l’ex rettore della Bocconi spinge per la via d’uscita morbida dall’impasse, al pari di un altro ‘insospettabile’, quel Luciano Violante che, pur rispettando la linea del Pd, ha confermato che occorre “decidere dopo aver ascoltato le difese”. La questione è sempre quella: il rinvio alla Consulta della legge Severino-Monti sul caso Berlusconi per farne slittare la decadenza. E il diretto interessato? Non rimane a guardare: oltre a ‘silenziare’ i suoi per evitare altre polemiche e favorire il dialogo con i pontieri del Pd, deposita in Giunta una lettera in cui annuncia il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo contro l’applicazione della norma in questione.
La strategia pidiellina del prender tempo per trovare una soluzione politica alla fine politica di Silvio Berlusconi, quindi, continua ad ottenere risultati. Uno su tutti: la seduta della Giunta per le elezioni e le immunità, in programma il 9 settembre, con tutta probabilità non sarà quella decisiva per mettere la parola fine sulla decadenza da senatore del Cavaliere. Un pronostico che fino a qualche giorno fa era difficile anche da immaginare. Il motivo dell’inversione di rotta? Il grimaldello giuridico del Pdl (l’incostituzionalità della legge Severino) continua a trovare sponde, non solo negli ex alleati del Pd ma anche in parlamentari di altri schieramenti. Un ponte, quello tra Pdl e avversari, rinvigorito dai pareri pro veritate dei giuristi di area Berlusconi. Sei, al momento, le relazioni depositate alla presidenza della giunta per le elezioni del Senato: tra queste, anche quella a firma dei costituzionalisti Beniamino Caravita di Toritto, Giuseppe de Vergottini e Nicolò Zanon e un’altra vergata dal componente del Csm Giorgio Spangher. Il contenuto è univoco: la legge Severino è una norma “intrinsecamente irragionevole” perché mette in contrasto potere giudiziario e potere politico. “O è incostituzionale la legge o è incostituzionale il decreto legislativo” hanno scritto i tre giuristi perché – come ha fatto sapere il Pdl – “una legge ordinaria, come la ‘Severino-Monti’, non può violare il diritto all’elettorato passivo tutelato dalla Carta“. Oltre ai sei pareri pro veritate, tra i documenti depositati in giunta anche una lettera scritta da Silvio Berlusconi, in cui il Cavaliere annuncia il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo contro l’applicazione della legge Monti-Severino.
Quella dei pareri pro veritate, del resto, è una carta che i berlusconiani caleranno sul tavolo nel momento opportuno per rinviare il parere della Giunta e prender tempo. Il 9 settembre, raccontano da Palazzo Grazioli, il relatore Andrea Augello terrà il suo intervento. Se la sua proposta finale dovesse essere bocciata dalla maggioranza della Giunta a quel punto bisognerà nominare un nuovo relatore e si aprirà la procedura di contestazione. Questo significa che bisognerà convocare una nuova udienza pubblica con annesso slittamento del voto. E qui entrano in ballo le relazioni in questione. Dopo l’intervento del relatore, infatti, qualche senatore azzurro potrebbe (condizionale d’obbligo) chiedere di adottare i pareri pro veritate di costituzionalisti e giuristi di fama. Che vuol dire altre sedute, altro tempo utile a disposizione in attesa dell’uscita delle motivazioni della sentenza della Cassazione su Mediaset e qualche margine in più di trattativa per un atto di pacificazione nei confronti del leader pidiellino. Il deputato Donato Bruno è categorico: “La Giunta non va intesa come un plotone di esecuzione. Ma deve decidere con scienza e coscienza”. Il Pdl, quindi, metterà in campo tutte le iniziative possibili per garantire a Berlusconi la possibilità di difendersi al meglio.
Sul piano giuridico, quindi, il Cavaliere ha ancora qualche freccia nella sua faretra. Un dato di fatto che sta avendo anche ripercussioni politiche. Il muro erto dal Pd sulla questione decadenza, infatti, non è granitico come vogliono far sembrare da Largo del Nazareno. Qui, infatti, tengono ancora banco i discorsi sul ‘lodo Violante’, con il fronte di coloro che vogliono cercare di salvare il governo a ogni costo che s’ingrandisce ogni giorno. Violante, dal canto suo, a Repubblica Tv ha risposto alla netta chiusura di Epifani. “Rispetto la linea del partito, ma bisogna decidere dopo aver ascoltato le difese” ha detto il ‘saggio’ del Pd, la cui proposta – non è un mistero – è piaciuta non poco al Colle, sempre favorevole alla pacificazione ormai perduta nelle larghe intese. “Se ci fossero i presupposti potrebbe essere legittimo il ricorso alla Corte Costituzionale o, per altre ragioni, alla Corte di giustizia del Lussemburgo. Se ci fossero i presupposti, ripeto” sottolinea Violante, spiegando che la “posizione del Pd” in merito al voto sulla decadenza è “quella del segretario Epifani”. “La mia è un’opinione personale” precisa Violante. Che poi aggiunge: “Epifani ha anche detto giustamente che Berlusconi ha il diritto di difendersi e se ha diritto di difendersi, gli altri hanno il dovere di ascoltare e decidere dopo aver ascoltato la difesa”. Quanto alle indiscrezioni su un possibile ‘interesse’ del Colle sulla sua posizione, Violante taglia corto: “Non ne so nulla”.
A caldeggiare la via d’uscita o almeno il rinvio della fine del Cavaliere non c’è solo Violante, ma anche altri rappresentanti politici di ogni schieramento. Detto di Pierferdinando Casini (che spinge per il rinvio del caso Berlusconi alla Corte costituzionale), spingono per la pacificazione con il Pdl anche Lamberto Dini e, come detto Mario Monti. Il primo parla chiaro: “In questo momento la priorità è evitare la crisi di governo. Se questo è l’obiettivo, guadagnare tempo è essenziale” spiega l’ex direttore di Bankitalia, secondo cui “avere sei mesi-un anno di tempo in più è importantissimo per mettere l’Italia al riparo dalle speculazioni finanziarie”. “Come principale forza di maggioranza – è il ragionamento di Dini – il Pd è pienamente coinvolto e allora potrebbe non ostacolare il ricorso alla Corte Costituzionale affinché stabilisca, come ha suggerito anche Luciano Violante, la costituzionalità e l’applicabilità delle norme della legge Severino. Dopo di che – conclude l’ex premier – se le norme sono applicabili, a Berlusconi non resterà che prendere atto e ritirarsi in buon ordine, altrimenti il Cavaliere potrà restare in Parlamento“.
Diverso nel contenuto, ma identico nell’obiettivo finale, invece, il parere di Mario Monti, che alla legge anticorruzione in questione ha dato il nome insieme all’ex guardasigilli Severino. Ed è proprio lui a volerla neutralizzare con la grazia a Berlusconi, anche se prova a spiegare che così non è. “La sentenza della Cassazione é definitiva, non c’è che da prenderne atto e da metterla in atto – ha detto l’ex premier – Sulla grazia, vorrei chiarire che é una scelta che spetta al Capo dello Stato e la legge Severino é stata introdotta dal governo da me presieduto. Non ho, inoltre, nessuna ragione di dolcezza nei confronti di Berlusconi” ha detto Monti. Che poi spiega: “Ho parlato di grazia perché qualcuno ha proposto l’amnistia, provvedimento che da cittadino mi sembra che introdurlo proprio nel momento in cui c’è il caso Berlusconi darebbe ai cittadini italiani e al resto del mondo l’idea che lo Stato di Diritto in Italia é abbastanza maneggiabile e che si fa l’amnistia perché c’è un importante personaggio che merita attenzioni particolari”. La grazia, quindi, ma a una condizione: “un provvedimento di clemenza sarebbe giustificato se lasciasse in campo, mantenendone la guida morale, un moderno partito di destra e non un partito populista in mano a falchi”. I tentativi di ricompattare le larghe intese aumentano, quindi. A sperare non solo il Cavaliere, ma anche Enrico Letta e Giorgio Napolitano.

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